Il Maestro.
Incontro con Marco Bellocchio

MODERA
Boris Sollazzo
DOVE
Sala Pasolini
QUANDO
22 ottobre 2022, h 21:30
Marco Bellocchio è un maestro. Non solo di cinema. Il suo percorso artistico ha attraversato e raccontato i conflitti del nostro paese, politici, religiosi, umani, con una lucidità intellettuale e una potenza emotiva rare, anzi uniche nel panorama mondiale. Da I pugni in tasca a Esterno Notte, ci ha donato capolavori che hanno guardato senza paura negli abissi, nelle ombre più scure di un paese, con la forza della sua rabbia sempre giovane, senza mai rinunciare a sfide per altri impossibili. Ci ha insegnato che Marx può aspettare, che Dio e l’io sono interlocutori necessari alla nostra crescita. E che in noi, come privati e comunità, la linea d’ombra è la strada maestra per essere uomini e artisti.
Marco Bellocchio
Tra i più importanti registi del cinema contemporaneo, Marco Bellocchio, nato da una famiglia borghese nella provincia emiliana, si iscrive al Centro sperimentale di cinematografia di Roma nel 1959. Studia il cinema di Bresson e Antonioni alla Slade School of Fine Arts di Londra, ed esordisce nel lungometraggio con “I pugni in tasca”, opera che ne segnala il talento indiscusso e la vocazione a compiere una dissezione critica dei valori familiari tradizionali. Negli anni successivi, nel pieno del clima pre e post-sessantotto, realizza “La Cina è vicina” (1967) e “Nel nome del padre” (1971), seguiranno, con alterne fortune al botteghino ma con altrettanti riconoscimenti critici, “Sbatti il mostro in prima pagina” (1972), “Matti da slegare” (1975) e “Marcia trionfale” (1976); il primo, un’aperta critica al sistema giornalistico italiano; il secondo sui manicomi in Italia, nel clima anti-istituzioni totali di Basaglia; il terzo, sull’ambiente delle caserme. Sono di questi anni le sue due incursioni nella televisione con la regia de “Il Gabbiano” di Cechov (1977) e “La macchina Cinema” dell’anno successivo, un film-inchiesta sul mondo del cinema e su chi lo sogna.
È degli anni ottanta il sodalizio artistico di Bellocchio con lo psichiatra Massimo Fagioli, dal quale nascono “Diavolo in corpo” (1986), “La visione del Sabba” (1988) e “La Condanna” (1991), Orso d’Oro a Berlino, dissacrante riflessione sul tema dello stupro, “Il sogno della farfalla”, presentato al Festival di Cannes nel 1994. Degli anni novanta sono ancora da citare sia “Il principe di Homburg” (1997), che “La Balia” (1999), tratto da un racconto di Pirandello con, a tema, l’incapacità di amare. Non meno complesso il lavoro del regista all’inizio del terzo millennio, “Il sorriso di mia madre” (2002), vede Sergio Castellitto nei panni di un pittore la cui madre sta per essere santificata dal vaticano. Dell’anno successivo è “Buongiorno, notte”, sul rapimento di Aldo Moro e gli anni del terrorismo in Italia – tema cui ritornerà nel 2022 con “Esterno Notte” – cui seguiranno alcuni lavori ancora centrati sulla famiglia e l’ambente della sua infanzia, Bobbio, con “Sorelle Mai” (2011). Nell’ultimo decennio realizza una rilettura critica del mito di Mussolini con “Vincere” (2009), protagonisti Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno. Dopo “sangue del mio sangue” del 2015, Bellocchio trae da un romanzo di Gramellini “Fai bei sogni” (2016) confermando il proprio percorso d’indagine sulla natura complessa delle relazioni familiari. Nel 2019 presenta al Festival di Cannes “Il traditore” e due anni dopo il festival francese gli attribuirà la Palma d’Oro alla carriera. Sulla soglia degli ottant’anni, Bellocchio affronta per la prima volta in modo diretto il suicidio del fratello in “Marx può aspettare”, tragedia che, tuttavia, dichiaratamente ha accompagnato e permeato la sua opera d’artista.